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24 Sep
24Sep

La recente riapertura giudiziaria del caso di cronaca nera avvenuto il 13 agosto 2007 – l’assassinio di Chiara Poggi, uccisa a casa sua nella cittadina di Garlasco, in provincia di Pavia – ha scosso profondamente l’opinione pubblica italiana e la penisola intera. È la prima volta che accade una cosa simile a un caso mediatico considerato definitivamente risolto, con il designato colpevole – Alberto Stasi, nel 2007 fidanzato della vittima – in carcere da 10 anni. Fra prove e provette che appaiono e scompaiono, intense esperienze oniriche, intrecci familiari, “cappellate” al limite dell’illegale, strane coincidenze e dichiarazioni piuttosto curiose, ciò che sta emergendo negli ultimi mesi rivela un inquietante quadro sulle attuali condizioni dell’(in)giustizia italiana. Stando alle ultime notizie, sembra che durante le indagini di 18 anni fa siano stati commessi circa 60 errori. 60 errori che hanno portato alla condanna a sedici anni di prigione un ragazzo di 23 anni, 60 errori che hanno rovinato la vita e la reputazione di un’intera famiglia, 60 errori commessi sulla pelle di una ragazza assassinata in maniera barbara. Non che il caso di Garlasco sia l’unico sulle cui indagini e sentenza aleggiano da anni vari dubbi: la vicenda di Yara Gambirasio – la 13enne trovata morta a Chignolo d’Isola il 26 febbraio del 2011, tre mesi esatti dopo la sua scomparsa – per cui è stato condannato all’ergastolo Massimo Bossetti nel 2016 (sentenza confermata in appello e dalla corte di Cassazione) resta un caso ancora altamente dibattuto, con schiere di persone in tutta Italia che credono nell’innocenza di Bossetti, e che chiedono una riapertura delle indagini. Il fatto che il PM Letizia Ruggeri – principale responsabile della condanna del muratore – sia stata indagata nel 2022 per frode processuale a causa del trasferimento, dall’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio corpi di reato di Bergamo, delle 54 provette contenenti i campioni di DNA che la difesa di Massimo Bossetti aveva ottenuto il permesso di analizzare giusto poco prima del suddetto spostamento non ha fatto altro che alimentare voci e perplessità. Anche se il procedimento è stato archiviato circa un anno fa, resta la domanda su cosa abbia spinto la Ruggeri a prendere una simile decisione. Non ci dovrebbe essere niente da temere quando non si ha niente da nascondere.Altro caso giudiziario che potrebbe essere tutt’altro che risolto “oltre ogni ragionevole dubbio” riguarda la strage di Erba, avvenuta l’11 dicembre 2006, per cui stanno scontando una pena all’ergastolo i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi; sentenza decretata senza avere riscontrato nessuna traccia del DNA dei due imputati sulla scena del crimine, ne tantomeno tracce del sangue delle vittime sui vestiti che i due “colpevoli” avrebbero indossato mentre compivano il massacro. Che dire poi della scomparsa di Emanuela Orlandi e di quella di Mirella Gregori – le ormai tristemente celebri ragazzine sparite nel nulla a Roma nel 1983, a poco più di un mese di distanza l’una dall’altra – per non parlare della serie di omicidi imputati al cosiddetto Mostro di Firenze; a questi si aggiungono le scomparse delle piccole Denise Pipitone e Angela Celentano, l’assassinio di Simonetta Cesaroni e quello di Simonetta Cattaneo, e perfino un caso risalente a settanta anni fa: la morte misteriosa di Wilma Montesi , trovata senza vita su una spiaggia di Torvaianica, nel 1953. Questi sono solo alcuni degli innumerevoli cold cases, ossia dei casi senza risoluzione, con colpevoli mai identificati e con vittime che ancora dopo decenni aspettano che sia fatta giustizia. Se all’elenco sommiamo i clamorosi errori giudiziari ai danni di Enzo Tortora e Beniamino Zuncheddu – condannati rispettivamente a 10 e a 33 anni di carcere seppur innocenti dei crimini di cui sono stati accusati – e i 31.947 altri casi (tutti a spese di soldi tassati, ovviamente) di ingiusta detenzione avvenuti tra il 1991 e il 2024, quasi 940 all’anno (dati dell’associazione Erroigiudiziari.com) ne esce un curriculum della magistratura italiana a dir poco raccapricciante, in grado di suscitare in ogni comune cittadino brividi di terrore davanti alla possibilità di ritrovarsi in un’aula di tribunale anche solo per la più banale delle cause civili. Arrivati a tale punto, non può che venire in mente il contenuto dell’intervista (integrata nel libro Lobby e Logge – le cupole occulte che controllano il sistema e divorano l’Italia) che qualche anno fa l’ex magistrato Luca Palamara – indagato nel 2019 per corruzione e fuga di informazioni dal Consiglio Superiore della Magistratura – ha concesso al giornalista Alessandro Sallusti: un sistema marcito, fatto di corruzione, collusione e intrecci fra la politica e la magistratura (altro che i “compagni di merende” di Pietro Pacciani).Un sistema che sembra colpire profondamente anche la stessa città di Pavia, che negli ultimi tempi è teatro non solo della nuova inchiesta sull’omicidio di Garlasco, ma anche di un altro terremoto giudiziario noto come Clean, indagine relativa a un giro di corruzione presente nella procura pavese. Secondo alcuni, ci sarebbe un vero e proprio collegamento fra i due procedimenti: l’attuale indagato per la morte di Chiara Poggi, Andrea Sempio, durante la precedente riapertura del caso, risalente al 2017, avrebbe ricevuto una strana telefonata in cui avrebbe detto: “Qualcosina si sta muovendo”. Pochi giorni dopo, avrebbe avuto modo di leggere le carte relative all’inchiesta e arrivare così preparato all’interrogatorio.In attesa della chiusura dell’incidente probatorio, e di fronte a questo desolante panorama giuridico e sociale, sono le parole di Dante Alighieri, uno dei padri della cultura e della lingua di questo paese, a riassumere il sentimento di rabbia e disillusione che gli italiani provano nei confronti delle istituzioni: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!”

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