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18 Jul
18Jul

C’erano una volta le sezioni dove si studiava Sergio Ramelli, si piangeva Almerigo Grilz, si cantava “Presente!” per i caduti della destra patriottica, nazionale. C’era una comunità che viveva di coerenza, che non si piegava, che sapeva distinguere il sangue versato dalla propaganda di regime. E oggi? Oggi ci ritroviamo un europarlamentare di Fratelli d’Italia che canta “Bella Ciao” il 25 aprile, e assessori che partecipano sorridenti ai cortei dell’ANPI, la stessa ANPI che ogni anno celebra un antifascismo che non è mai stato democratico, ma solo vendicativo. È questo il modo con cui la destra di governo intende onorare la propria storia? Sergio Ramelli è stato ucciso con una chiave inglese a 18 anni. Assassinato per le sue idee, da chi oggi viene ancora celebrato come “partigiano metropolitano”. Come si può, nel 2025, sedere al governo della Repubblica e non dire chiaramente che l’antifascismo militante ha sulla coscienza decine di giovani? Essere “antifascisti” oggi non è un atto neutro, è spesso un modo per giustificare la violenza politica contro chi la pensa diversamente. E quando la cultura dominante, quella accademica, giornalistica, scolastica, continua a dire che “uccidere un fascista non è reato”, non si sta parlando di Mussolini. Si sta parlando di ogni ragazzo che crede ancora in Dio, Patria e Famiglia. Si sta parlando di voi. Di noi. E allora diciamolo con chiarezza: il fascismo è morto nel 1945. È finito con Benito Mussolini. Nessuno chiede la restaurazione, ma pretendere di essere ancora oggi etichettati come “fascisti” solo per amare la propria nazione o la propria identità è una perversione ideologica. La fiamma non si porta solo sul simbolo, ma nell’anima.  Fratelli d’Italia porta sul simbolo la fiamma tricolore, un simbolo che significa continuità morale, memoria, identità. E allora si abbia il coraggio di essere conseguenti. Non si può sventolare quella fiamma e poi andare a braccetto con l’ANPI. Non si può intonare “Bella Ciao” e al tempo stesso parlare di patria, ordine, tradizione. Non si può sedere al governo del Paese e rinunciare a una chiara, definitiva, dignitosa difesa dei nostri martiri. Di quei giovani che non hanno avuto processi, che sono stati massacrati davanti ai portoni di casa solo perché indossavano una giacca sbagliata, una croce celtica o una spilletta della Giovane Italia. Onorare quella memoria non è folklore: è identità. È coerenza. È rispetto.Serve una destra del terzo millennio, non una destra travestita da centrosinistraNon si chiede nostalgia. Non si chiede restaurazione. Ma si chiede coerenza. Chi è cresciuto nella cultura del “non rinnegare, non restaurare” non può accettare che il partito erede di quella storia oggi si vergogni di dire una cosa semplice:Il fascismo è finito. L’antifascismo violento, invece, non è mai finito.La destra di governo ha oggi il dovere morale di dire chiaramente:

  • che Dio, Patria e Famiglia sono valori universali e non etichette politiche superate;
  • che non ci si inginocchia davanti all’ipocrisia resistenziale, che ha prodotto odio e sangue nel dopoguerra;
  • che non si tradisce la propria comunità per un applauso nei salotti di Repubblica o nei talk show del mainstream.

La destra è nata per opposizione al conformismo, per fede nella verità contro la menzogna dominante. Oggi, chi siede al governo deve decidere: o si torna ad avere il coraggio di essere destra, senza aggettivi e senza vergogna, oppure ci si perde nella palude indistinta dei governi “responsabili”, degli esecutivi che chiedono il permesso a Bruxelles e alla stampa militante per esistere.La fiamma non brucia nei salotti. Brucia nella coerenza.

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