n un recente video circolato sui social media, una giovane donna ha raccontato un episodio avvenuto durante una visita medica in ospedale, dove era stata ricoverata per un malore. Al momento di spogliarsi per l’esame, ha chiesto al medico se fosse necessario rimuovere anche il reggiseno. La risposta del professionista, pronunciata con un tono scherzoso, è stata: “Non è necessario, ma se lo fai saremo tutti più contenti”. Indignata da quella che ha percepito come una molestia, la ragazza ha registrato un video quasi in lacrime, condividendo la sua esperienza online e scatenando un dibattito virale.Questo incidente, apparentemente isolato, merita un’analisi approfondita, non tanto per minimizzare il rispetto dovuto alle persone e alle donne – un principio sacrosanto e indiscutibile – quanto per interrogarsi sulle proporzioni della reazione. Una battuta fuori luogo, certo, ma essenzialmente bonaria e che, in fondo, intendeva omaggiare la bellezza della paziente, ha provocato una risposta sproporzionata, trasformandosi in un’accusa pubblica di molestia. La questione va oltre l’episodio specifico: esso riflette un trend ideologico progressista e femminista che sta dilagando nelle società occidentali, imponendo una narrazione che amplifica ogni interazione tra generi come un potenziale atto di oppressione.Peggio ancora, questo non è un caso sporadico, ma l’espressione di un movimento più ampio, incarnato da termini come “femminicidio”, forgiati dalla neolingua globalista. Non si tratta di contestare il rispetto per le donne e per ogni essere umano – un valore che non ammette obiezioni – bensì di denunciare un’elaborazione ideologica distorta e sovversiva. Tale narrazione mira a erodere la mascolinità tradizionale, sotto l’etichetta della “lotta al patriarcato”, e, più in generale, a dissolvere l’identità sessuale umana attraverso processi culturali che sembrano annunciare i tempi finali di un’era. In questo contesto, l’episodio della giovane donna diventa un simbolo: una battuta innocua, radicata nella dinamica naturale tra uomo e donna, viene demonizzata come emblema di un sistema patriarcale offensivo per la dignità femminile. Questo approccio non solo esagera, ma contribuisce a un trend già avanzato in altre nazioni occidentali, orientato verso un nuovo ordine sessuale che sfida le basi naturali dell’umanità.Al cuore di questa trasformazione c’è la perdita dell’identità, un concetto cruciale che Alain de Benoist ha esplorato con profondità in opere come “Le sfide della postmodernità”, “La scomparsa dell’identità” e “Identità e comunità”. De Benoist, filosofo francese e fondatore della Nuova Destra, argomenta che l’era postmoderna sta assistendo a una frammentazione sistematica delle strutture collettive – dalle nazioni alle famiglie, dalle tradizioni culturali alle identità di genere. In “Le sfide della postmodernità”, egli descrive come le ideologie liberali e globaliste promuovano una dissoluzione delle radici umane, sostituendole con un individualismo atomizzato che nega le differenze innate. “La scomparsa dell’identità” approfondisce questo tema, sostenendo che la modernità liquida – per usare un termine che riecheggia Zygmunt Bauman – erode le certezze antropologiche, rendendo l’uomo un’entità fluida, priva di ancoraggi stabili. Qui, de Benoist critica aspramente il progressismo che, sotto il pretesto di uguaglianza, impone una omogeneizzazione culturale, dove le identità sessuali tradizionali vengono etichettate come oppressive. In “Identità e comunità”, invece, enfatizza il ruolo delle comunità organiche nel preservare l’essenza umana: senza di esse, l’individuo perde il senso di appartenenza, cedendo a narrazioni ideologiche che privilegiano il fluido e l’indefinito. De Benoist vede in questo un pericolo esistenziale, dove l’uomo, privato della sua mascolinità come pilastro identitario, si ritrova in una crisi profonda, incapace di orientarsi in un mondo che lo riduce a un soggetto intercambiabile.Similmente, Alexander Dugin, il pensatore russo noto per le sue teorie geopolitiche e culturali, affronta questi temi in “Etnosociologia”, dove analizza la disintegrazione delle strutture etniche e sociali come un processo deliberato di manipolazione antropologica. Dugin, influenzato da tradizioni eurasiatiche e anti-occidentali, argomenta che le società collettive – basate su etnie, culture e ruoli di genere radicati – stanno venendo smantellate da forze globaliste che promuovono un’ibridazione forzata. In “Etnosociologia”, egli descrive come l’antropologia umana venga alterata attraverso legittimazioni ideologiche che interpretano la storia in chiave progressista: l’idea che una società “più giusta e libera” sia quella liquida, priva di confini fissi, viene instillata nelle menti delle persone, preparando il terreno per un totalitarismo soft. Dugin collega questo alla crisi dell’identità maschile, vedendola come un attacco mirato: il maschio, tradizionalmente custode di ruoli protettivi e strutturanti, viene emarginato, spingendolo verso una profonda crisi esistenziale. Senza il suo ruolo storico – di padre, guerriero, guida – l’uomo perde il suo posto nel tessuto sociale, cedendo spazio a un transfemminismo totalitario che impone una visione unidirezionale del genere, dove il femminile (o il trans-femminile) diventa l’unico paradigma accettabile.Tornando all’episodio del video virale, è evidente come questa drammatizzazione rifletta proprio tale dinamica. Una battuta leggera, che in un contesto naturale celebrava l’attrazione eterosessuale e la complementarità tra i sessi, viene reinterpretata come un’aggressione patriarcale. Questo non è solo un eccesso individuale, ma un sintomo di un’ideologia che sta ridefinendo le interazioni umane, imponendo filtri di sospetto su ogni gesto maschile. Il risultato? Una società dove l’uomo, privato della sua identità tradizionale, entra in una crisi profonda: non sa più come esprimere apprezzamento, umorismo o affinità senza rischiare l’etichetta di oppressore. Questo cedimento al transfemminismo totalitario – un movimento che non tollera deviazioni dalla sua ortodossia – accelera la perdita del ruolo maschile, trasformando gli uomini in figure passive, prive di agency. In Occidente, questo trend è già consolidato: dalle campagne mediatiche contro il “mansplaining” alle politiche di genere che privilegiano quote e narrazioni victimiste, tutto converge verso un ordine sessuale contro natura, dove le differenze biologiche e culturali vengono negate in nome di un’uguaglianza astratta.In sintesi, l’episodio della giovane donna in ospedale non è un’anomalia, ma un campanello d’allarme. Riflettendo le analisi di de Benoist e Dugin, esso evidenzia come le ideologie progressiste stiano disintegrando le identità collettive, modificando l’antropologia umana attraverso una lettura storica distorta. La società liquida di Bauman, con la sua enfasi sul fluido e sull’effimero, diventa il modello ideale per questo cambiamento: un mondo senza radici, dove l’uomo perde il suo ruolo essenziale, cedendo a un transfemminismo che impone il suo dominio totalitario. Questa crisi di identità maschile non è solo personale, ma collettiva, minacciando le basi stesse della civiltà occidentale. È tempo di resistere a tali sovversioni, riscoprendo il valore delle differenze naturali e delle comunità autentiche, prima che il processo diventi irreversibile.