La situazione politica Il 13 marzo 2025 la Siria ha adottato una Costituzione provvisoria. Il nuovo testo affida all’Assemblea Popolare transitoria ampi poteri: la possibilità di emanare leggi, modificare o abrogare quelle esistenti, ratificare trattati internazionali ed approvare il bilancio statale. Soltanto il 13 giugno, tuttavia, è iniziato il processo per la creazione di un parlamento. In quell’occasione non è stato introdotto un sistema elettorale diretto: al suo posto è stato istituito un “Comitato Supremo” di 11 membri incaricato di eleggere l’Assemblea Popolare che ha deciso di ampliare il numero dei seggi, portandoli da 150 a 210. Due terzi dei parlamentari verranno scelti dal comitato, mentre il restante terzo sarà designato direttamente dal presidente. La figura presidenziale resta oggi controversa: a guidare il paese è Ahmad al-Shara, nato nel 1982. In gioventù ha maturato simpatie per l’estremismo jihadista, entrando a 21 anni nelle file di Al-Qaida in Iraq contro le truppe statunitensi. Negli anni successivi si è spostato in Siria, prendendo parte alla rivolta contro il regime di Bashar al-Assad ed aderendo al gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Le tappe del processo elettorale in Siria Prima faseIl Comitato Supremo ha istituito delle sottocommissioni a livello distrettuale, ciascuna composta da almeno tre membri. Per accedere alla candidatura sono stati fissati alcuni requisiti fondamentali: possedere la cittadinanza siriana e risiedere nel Paese, avere almeno 25 anni, non avere precedenti penali, non aver fatto parte del governo di Bashar al-Assad né aver prestato servizio nelle forze di sicurezza. Seconda faseLe sottocommissioni sono chiamate a costituire i collegi elettorali dei rispettivi distretti. Le liste dei candidati vengono trasmesse al Comitato Supremo, che ha la facoltà di approvarle, chiedere modifiche o proporre sostituzioni. Ogni collegio è formato da 30 a 50 membri, con quote prestabilite: il 20% riservato alle donne, il 3% a persone con disabilità, mentre i restanti seggi sono occupati da professionisti e figure tradizionali della società locale. Terza faseNella fase conclusiva, soltanto i membri dei collegi elettorali hanno la possibilità di candidarsi al seggio del proprio distretto e di esprimere il voto. Le campagne elettorali sono circoscritte all’interno di questi collegi, senza possibilità di rivolgersi al pubblico più ampio. La consultazione per l’Assemblea Popolare avviene esclusivamente in presenza ed i risultati sono comunicati il giorno stesso dello scrutinio. Il 23 agosto, il governo siriano ha inoltre precisato che, per ragioni di sicurezza, le elezioni non si svolgeranno nelle province di Suwayda, Hasakah e Raqqa. La limitazione resterà in vigore finché non verranno ristabilite condizioni di stabilità in queste aree. L’esclusione dei curdi A meno di un anno dalla caduta di Bashar al-Assad, la Siria attraversa una fase di transizione che mette già in luce fragilità strutturali. Le elezioni parlamentari previste per settembre e svoltesi ad ottobre, che avrebbero dovuto rappresentare un primo banco di prova per la Costituzione provvisoria ed un segnale di stabilità politica, sono diventate motivo di nuove tensioni. La decisione di escludere dal voto le regioni curde del nord e del nord-est, oltre alla provincia drusa di Suweyda, ha di fatto privato milioni di cittadini della possibilità di una rappresentanza politica: il potere resta concentrato nelle mani del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa. L’esclusione non riguarda solo la sfera politica. Le province di Raqqa e Hasakeh, cuore agricolo del Paese e sede di importanti giacimenti di petrolio e gas, sono state storicamente fondamentali per l’economia siriana: tagliarle fuori dal processo elettorale significa impedire al nuovo Parlamento di avere accesso a risorse decisive per la ricostruzione. Un paradosso evidente: mentre la Siria necessita con urgenza di investimenti, di un rilancio del settore agricolo e di interventi sulle infrastrutture energetiche, le aree più strategiche vengono lasciate ai margini. Il comitato elettorale ha motivato la scelta con “problemi di sicurezza”. Se nel caso di Suweyda gli scontri settari e le difficoltà di accesso rendono la situazione effettivamente complessa, definire insicure le zone a maggioranza curda appare meno convincente. Negli ultimi anni le forze curde hanno dimostrato capacità militari rilevanti, soprattutto nella lotta contro lo Stato Islamico, e hanno consolidato amministrazioni locali stabili. La decisione di Damasco sembra dunque avere più un significato politico che di ordine pubblico: contenere un attore che rivendica decentralizzazione ed autonomia. La questione curda in Siria non può essere interpretata unicamente sul piano interno. La Turchia guarda con sospetto a qualsiasi passo che possa rafforzare le autonomie curde, temendo ripercussioni sui propri confini sud-orientali. La Russia, attore silenzioso ma influente nella fase di transizione, continua a preferire una Siria centralizzata e sotto il controllo di Damasco, piuttosto che un assetto federale ritenuto instabile; la stessa posizione è condivisa dall’Iran, storico alleato. Gli Stati Uniti, pur avendo perso peso diretto nella regione, mantengono il sostegno alle forze curde come contrappeso alle ambizioni russe ed iraniane. In questo scenario di equilibri geopolitici, la leadership siriana appare più come pedina di interessi esterni che come soggetto pienamente autonomo. La ricostruzione resta l’altro nodo cruciale. Per attrarre investimenti ed aiuti, Damasco dovrebbe offrire un quadro politico inclusivo e credibile; al contrario, l’esclusione di ampie fasce della popolazione riduce la fiducia nel processo e scoraggia potenziali investitori. Compagnie energetiche e fondi provenienti dal mondo “arabo” osservano la situazione con cautela: senza garanzie di rappresentanza e con tensioni irrisolte tra centro e periferia, ogni progetto di sviluppo rischia di restare lettera morta. L’emarginazione delle regioni curde sottrae inoltre al Paese strumenti fondamentali per ritrovare autonomia economica. La Costituzione provvisoria concentra il potere nelle mani del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, senza riconoscere la pluralità etnica e religiosa che compone la società siriana. Per i curdi, ciò rappresenta il segnale che le logiche centralistiche del passato restano invariate; per i drusi, l’esclusione della provincia di Suweyda conferma un processo di marginalizzazione. Dietro le giustificazioni legate alla sicurezza, sembra prevalere la volontà di rafforzare il potere centrale prima di concedere aperture politiche: una scelta che, invece di sanare le divisioni, rischia di acuirle ulteriormente. La Siria post-Assad si trova dunque di fronte ad un passaggio decisivo. Da una parte, la possibilità di costruire un percorso inclusivo di ricostruzione politica ed economica, dall’altra, il pericolo di riprodurre meccanismi di esclusione e repressione già sperimentati in passato. L’estromissione delle regioni curde dalle elezioni va ben oltre la dimensione elettorale: è il segnale che la transizione rischia di trasformarsi in una restaurazione; senza un compromesso sulla rappresentanza delle minoranze, la stabilità necessaria per la rinascita del Paese rimarrà un obiettivo lontano.