L’Italia vive da anni una condizione di fragilità sociale e instabilità urbana aggravata dal fenomeno dell’immigrazione clandestina, spesso associata a criminalità organizzata, sfruttamento del lavoro nero, traffico di esseri umani e insicurezza cittadina. Accanto a questo fenomeno, si pone una sfida completamente diversa ma altrettanto urgente: l’inclusione delle seconde generazioni, i figli di immigrati nati o cresciuti in Italia, che rischiano di restare sospesi in una “terra di mezzo”, né pienamente italiani né legati ai Paesi d’origine dei genitori. Occorre allora un programma strategico a doppio binario: fermare con decisione l’immigrazione clandestina, ma offrire un modello chiaro di integrazione culturale per chi è già parte della società italiana, secondo una visione fondata sull’identità e la legalità.Secondo i dati del Ministero dell’Interno aggiornati al dicembre 2023, gli arrivi irregolari via mare sono stati oltre 157.000, con un incremento del 50% rispetto al 2022. Di questi, una quota significativa non ha i requisiti per l’asilo politico, ma rimane comunque sul territorio nazionale per lentezza delle pratiche, assenza di rimpatri effettivi e mancanza di accordi bilaterali con i Paesi d’origine. Il Centro Studi Internazionali (Ce.S.I) riporta che oltre il 70% degli immigrati clandestini rimane in Italia anche dopo il rifiuto della richiesta d’asilo. Questo alimenta il lavoro nero, l’accattonaggio organizzato, lo spaccio nelle periferie e la pressione sui servizi sociali.
“Non si può costruire alcuna politica di integrazione se non si parte dal controllo dei confini e dal rispetto della legge”
(Lumhann Nasr, “Identità e cittadinanza”, 2019)
Creazione, in accordo con l’UE, di centri di identificazione nei Paesi di partenza (Libia, Tunisia, Egitto), dove le domande d’asilo possano essere valutate prima dell’arrivo in Italia. Questo modello è già allo studio in Danimarca e Regno Unito.
Siglare nuovi accordi di rimpatrio con i Paesi d’origine vincolati agli aiuti economici: chi non collabora con i rimpatri, non riceve fondi.
Interventi coordinati con Frontex per il pattugliamento navale e la chiusura delle rotte illegali, come proposto nel “Piano Mattei”.
Riformare il sistema dei CAS, riducendone drasticamente il numero e garantendo trasparenza nella gestione.
La seconda sfida riguarda i figli degli immigrati, spesso nati in Italia, che frequentano le scuole italiane ma rischiano l’esclusione sociale o il radicalismo culturale. Secondo l’ISTAT, nel 2024 gli alunni con cittadinanza straniera nelle scuole italiane erano circa 860.000, di cui oltre il 70% nati in Italia.Molti di loro non ottengono automaticamente la cittadinanza, e si trovano sospesi tra due mondi. Come ha scritto Lumhann Nasr,
“L’inclusione non può essere multiculturale nel senso relativista: deve fondarsi su valori comuni, sulla lingua italiana, sul rispetto delle regole, sulla partecipazione alla vita della comunità.”
Introdurre moduli obbligatori di educazione ai valori costituzionali, alla storia e alla cultura italiana, per tutte le scuole con studenti stranieri.
Chi nasce o cresce in Italia deve poter accedere alla cittadinanza non in automatico, ma attraverso un percorso formativo e civico, con prove di lingua, storia e diritti/doveri civici.
In nome del rispetto, occorre dire no a usi e costumi incompatibili con la società italiana: sottomissione femminile, ghettizzazione, rifiuto dell’insegnamento scolastico laico non possono essere accettati. L’inclusione non è concessione, è adesione a una comunità di valori.Se non si interviene con un progetto strutturato, l’Italia rischia una frattura sociale crescente: da un lato, territori sotto pressione per l’arrivo continuo di irregolari; dall’altro, una seconda generazione spaesata e potenzialmente vulnerabile all’estremismo o all’esclusione. Serve una strategia fondata su legalità, identità e selezione responsabile: chi arriva illegalmente non deve restare; chi nasce e vive in Italia deve essere incluso in senso amministrativo. L’alternativa è l’anarchia identitaria e la paralisi civile. Lo Stato deve decidere chi è parte della comunità, e a quali condizioni.
“L’inclusione senza cultura comune non è integrazione, ma moltiplicazione dei conflitti. L’identità condivisa è il primo diritto e il primo dovere di ogni cittadino.”