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03 Jun
03Jun

La teoria dell’evoluzione, elevata a dogma biologico, spesso si presenta come verità scientifica incontrovertibile. Tuttavia, un’analisi più penetrante rivela come, in alcuni dei suoi pilastri fondamentali, essa poggi su fondamenta meno solide di quanto comunemente ammesso, sfiorando i confini di una fede scientifica.Il principio cardine di Popper sulla falsificabilità sembra stranamente inefficace di fronte all’evoluzione. Ogni lacuna, ogni anomalia, viene prontamente assorbita da narrazioni adattative o dalla comoda scusa dell’incompletezza del record fossile. Dov’è la prova che potrebbe realmente smentire l’evoluzione nella sua interezza? La continua assenza di transizioni fossili chiare tra grandi gruppi di organismi, lungi dal portare a una revisione teorica, viene reiteratamente liquidata come un problema di “ritrovamenti mancanti”. Questa elasticità narrativa non è forse il segno di un sistema di credenze più che di una teoria scientifica rigorosa?La microevoluzione, i piccoli cambiamenti adattativi all’interno di una specie, è un fatto osservabile. Ma la macroevoluzione, il salto qualitativo da un tipo di essere vivente a un altro radicalmente differente, resta confinata al regno delle deduzioni e delle interpretazioni di reperti spesso ambigui. Nessuno ha mai osservato una rana trasformarsi spontaneamente in un rettile in laboratorio. Ci viene chiesto di accettare questo salto sulla base di una fede cieca in processi lenti e graduali mai direttamente constatati. Questa non è scienza osservativa, ma un’estrapolazione basata su un modello preesistente.L’Epigenetica Smantella il Dogma CentraleL’avanzata dell’epigenetica sferra un colpo diretto al cuore del darwinismo ortodosso. L’idea che solo le mutazioni genetiche casuali, filtrate dalla selezione naturale, siano il motore dell’evoluzione vacilla di fronte alla dimostrazione che i cambiamenti ambientali possono indurre modificazioni ereditabili che non alterano la sequenza del DNA.

  • Esempio Incisivo: Se uno stress ambientale induce una risposta epigenetica in un organismo che viene trasmessa alla prole, modificandone la fisiologia o il comportamento, questo non è il risultato di una mutazione genetica casuale “selezionata”. È un’ereditarietà diretta di caratteristiche acquisite, un concetto che il neodarwinismo aveva categoricamente rifiutato.

L’epigenetica non solo complica il quadro, ma suggerisce (eventualmente) un meccanismo evolutivo alternativo, dove l’ambiente gioca un ruolo attivo e immediato nel plasmare le generazioni future, sminuendo la cieca aleatorietà delle mutazioni genetiche come forza propulsiva primaria. Questo non è un piccolo aggiustamento alla teoria; è una potenziale riscrittura di una parte fondamentale del racconto.Lungi dall’essere una scienza granitica, l’evoluzionismo, soprattutto nella sua pretesa di spiegare la macroevoluzione con la sola forza della selezione su mutazioni casuali, mostra crepe significative per non dire inesistenti. La sua elusiva falsificabilità e le sfide poste dall’epigenetica rivelano come la sua accettazione richieda un atto di fede in un modello interpretativo che trascende la solida evidenza sperimentale ed empirica. Non si nega il cambiamento interna alla specie (adattamento), ma si contesta con forza la narrazione onnicomprensiva e spesso dogmatica di una teoria imposta senza prova reale e che fatica a confrontarsi con le nuove scoperte e le obiezioni epistemologiche fondate.

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