In Italia come in Europa si sta delineando una frattura sempre più netta tra l’opinione pubblica e le decisioni politiche riguardo le guerre in corso in Ucraina e a Gaza. I sondaggi mostrano che una buona parte dei cittadini è contraria all’invio di armi, teme che la via militare prolunghi i conflitti e preferirebbe una forte pressione diplomatica.. Ma i governi sembrano muoversi in direzione opposta, alimentando alleanze, acquisti bellici, sostegni militari e diplomatici che molti parlano come inevitabili o “realpolitik”. E allora, la domanda sorge spontanea: cos’è diventata la democrazia se la voce dei cittadini non sembra contare più di tanto sulle scelte più gravi che determinano guerre, vite e risorse pubbliche?Un sondaggio Euromedia Research (Ghisleri) del 2025 dice che il 94% degli italiani è contrario all’invio di truppe in Ucraina.Sempre in tema Ucraina, un sondaggio Ipsos per Corriere della Sera rileva che il 45% degli italiani è contrario all’invio di armi, mentre solo il 34% è favorevole.Una rilevazione del Censis segnala che solo il 16% degli italiani sarebbe disposto a prendere parte, fisicamente o con chiamata alle armi, in un conflitto; la grande maggioranza preferisce la neutralità.Per quanto riguarda il Medio Oriente, è emerso che l’88% degli italiani è preoccupato dall’evoluzione della guerra tra Israele e Palestina.Questi dati mostrano non solo una forte preoccupazione, ma una vera e propria divergenza su cosa la gente desidera rispetto a cosa sta accadendo effettivamente. Nonostante l’opinione pubblica proponga una via prevalentemente non bellica, la politica si orienta in molti casi in modo diverso: I governi sostengono l’Ucraina con aiuti militari, diplomatici e con l’invio di armi, nonostante molti cittadini ritenessero queste decisioni rischiose o controproducenti. Nel conflitto israelo-palestinese, l’Italia mantiene rapporti diplomatici e commerciali, invia aiuti, ma non sempre risponde con il grado di pressione che molti nelle piazze chiedono (o sognano) per fermare la guerra. In molti programmi elettorali la questione della guerra, dell’invio di armi all’estero o della pace internazionale non compare con chiarezza, oppure è trattata in modo vago. Dopodiché, una volta al potere, le scelte fatte colpiscono direttamente la popolazione — per le spese, per i rischi, per le relazioni internazionali. Se i governi pretendono di rappresentare il popolo ma le decisioni essenziali vanno contro la maggioranza o comunque contro un forte sentimento popolare, la democrazia è una farsa. Si crea sfiducia, disaffezione, apatia. Se le persone percepiscono che il loro voto o la loro voce contano poco nelle scelte cruciali, che senso ha partecipare? Nessuno e infatti sempre meno persone vanno a votare. La democrazia rappresentativa non ascolta i cittadini e le decisioni vengono prese da élite composte da gruppi di interesse e poteri esterni agli stati.La democrazia rappresentativa ha mostrato limiti evidenti. Non basta il voto ogni pochi anni: serve un ponte attivo fra opinione pubblica e politica, trasparenza, responsabilità, strumenti che permettano ai cittadini di partecipare direttamente su questioni di pace e guerra. In Italia, oltretutto, abbiamo un grande problema di analfabetismo funzionale che composta una facile manipolazione delle idee delle persone.Se non cambia qualcosa, rischiamo che la democrazia diventi solo un’etichetta vuota nei fatti. E allora ci si chiede: se non siamo liberi di decidere davvero, quanto liberi siamo, davvero?