Altro giro, altra guerra. Sempre le stesse parole d’ordine: “difesa preventiva”, “minaccia nucleare”, “valori occidentali”, “sicurezza globale”. Cambiano i nomi dei paesi da bombardare, restano uguali gli alleati di ferro: Stati Uniti e Israele da una parte, l’Europa in ginocchio a reggere il cappello. Stavolta tocca all’Iran. Che sorpresa. Ma no, non è una guerra. È un’operazione mirata, chirurgica, doverosa. Come no. E mentre si spianano città, si infiammano intere aree del Medio Oriente, e si condannano alla morte migliaia di civili, in Occidente i telegiornali parlano di “contenimento della minaccia” e “difesa della democrazia”. Quella democrazia che, guarda caso, si difende sempre meglio con le bombe. Che poi, parlare di “minaccia nucleare iraniana” quando Israele ha più di 90 testate atomiche e gli Stati Uniti oltre 5.000, è come arrestare un ladro di mele mentre i banchieri evadono miliardi. L’Iran forse ci sta provando, certo. Ma Israele e USA le armi nucleari le hanno già, e le hanno anche usate. Hiroshima e Nagasaki non li ha bombardati l’ayatollah Khamenei.E poi, diciamolo chiaramente: chi è che decide quali regimi sono “accettabili” e quali sono “canaglia”? L’Arabia Saudita taglia teste in piazza, nega i diritti alle donne e finanzia gruppi jihadisti, ma ci facciamo affari da anni. Netanyahu bombarda ospedali a Gaza e parla di “autodifesa”. L’Iran invece è “il male assoluto”. Perché? Perché non è allineato. Perché ha petrolio, gas, influenza nella regione. Perché rompe le scatole. Tutto questo si fa nel nome della libertà, e con il solito corredo di menzogne ben confezionate. Ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam? Quelle che nessuno ha mai trovato, ma che sono costate un milione di morti e un paese devastato? O la “primavera araba” in Libia, finita con milizie armate, mercenari e scafisti? O il “regime change” siriano sponsorizzato da CIA e NATO? Un disastro dopo l’altro, ma nessuno paga mai.E l’Europa? E l’Italia? Zitti e mosca. Al massimo un comunicato stampa scritto col correttore automatico, qualche faccia contrita davanti alle telecamere, e poi via con le forniture militari, le basi NATO aperte, i radar attivi. Che il business delle armi non si ferma per qualche civiletto morto sotto le bombe intelligenti. Nel frattempo, qui da noi, gli stessi che si strappano le vesti per il diritto internazionale violato da Teheran o Mosca, tacciono quando a violarlo sono Washington e Tel Aviv. Perché? Perché la guerra non si fa mai davvero per la pace. La guerra si fa per soldi, per potere, per petrolio, per contratti miliardari. E chi ci guadagna? I soliti: Lockheed Martin, Raytheon, Leonardo, Elbit. Le stesse industrie che “difendono la libertà” a suon di missili da 100mila euro l’uno. E chi paga? Sempre i soliti: i civili, i profughi, i giovani mandati a combattere guerre che non gli appartengono. E naturalmente noi cittadini, che in bolletta ci ritroviamo anche le spese per le “missioni umanitarie”.Se c’è una speranza, è che almeno una parte dell’opinione pubblica si svegli, che smetta di bersi ogni versione ufficiale come fosse vangelo, che ricordi che essere europei dovrebbe significare promuovere la diplomazia, non l’obbedienza cieca al Pentagono. E che quando ci chiederanno di fare la nostra parte — mandando armi, soldi, soldati — ci sia ancora qualcuno capace di dire no. Perché questa non è la nostra guerra. E neanche la nostra pace.