È il 2025. Abbiamo chatbot che scrivono poesie, macchine che si guidano da sole e l’intelligenza artificiale promette di risolvere i problemi energetici del pianeta. Eppure, ogni volta che un esponente della Destra italiana si avventura in un dibattito pubblico, una sorta di ghigliottina semantica cala inesorabile, troncando ogni discussione seria sul nascere: “Si dichiara antifascista?”Questa domanda, lo si ammetta, non è un’inchiesta storica né un test di coerenza politica; è un rito di purificazione, l’equivalente laico di un esorcismo mediatico. È una richiesta di abiura preventiva che, incredibilmente, viene ancora brandita come il metro infallibile della democraticità.Il paradosso è grottesco. Chiedere a un politico moderno di dichiararsi “antifascista” è come chiedere a un ingegnere di dichiararsi “anti-carrozza a cavalli” o a un medico di giurare “anti-salasso”. Il fascismo, nella sua forma storica e dottrinale (Mussolini, il PNF, il corporativismo come sistema economico), è morto. Lo stesso Movimento Sociale Italiano (MSI), la cui ombra storica aleggia sul dibattito, adottò la linea di Giorgio Almirante: “Non rinnegare, non restaurare”. Una formula che non era un piano per ripristinare il Ventennio, ma una difesa dell’onore e, soprattutto, un baluardo ideologico anticomunista nel pieno della Guerra Fredda.L’MSI, formalmente, aveva nel suo programma concetti come il corporativismo o la socializzazione, ma nella pratica, quale scuola di pensiero, quale laboratorio culturale del dopoguerra ha mai seriamente tentato di applicare e teorizzare un’economia corporativa? Nessuno. Era più una narrazione identitaria per gli irriducibili, una sorta di “cosmesi ideologica” per coprire la funzione reale: resistere alla presunta “orda rossa” e difendere l’onore di una Patria umiliata dall’8 settembre. La Destra, con il suo atavico complesso di inferiorità culturale (che la spinge a cooptare ex-radicali e ex-PD piuttosto che formare propri quadri), cede puntualmente a questo ricatto. Teme la risposta “No” come il diavolo teme l’acqua santa, perché sa che il circo mediatico lo sbranerebbe.Eppure, la risposta da parte di un intellettuale con la schiena dritta dovrebbe essere semplice e definitiva, una dichiarazione che ribalti il piano di accusa e mostri la miseria intellettuale della domanda stessa.La Risposta che Smaschera l’Inganno:Alla fatidica domanda, il referente di Destra dovrebbe rispondere con la fredda logica:«No, non mi dichiaro ‘antifascista’. E per una ragione molto semplice: il Fascismo come sistema politico è morto con il suo creatore, Benito Mussolini. Non è una minaccia attuale, non esiste. Non ho vissuto quell’epoca, quindi dichiararmi anti qualcosa di inesistente sarebbe un atto puramente retorico e, diciamocelo, piuttosto ridicolo.»Ma il colpo di grazia, quello che dovrebbe azzerare il dibattito e costringere l’interlocutore alla muta riflessione, risiede nel definire ciò che è ancora vivo: l’antifascismo come ideologia militante. «Non mi dichiaro antifascista perché, a differenza del fascismo storico, l’antifascismo come categoria politica moderna è tuttora attivo e, nel suo estremismo, ha storicamente e tragicamente legittimato la violenza politica. Penso alla scia di sangue degli Anni di Piombo, penso a Sergio Ramelli, ai Fratelli Mattei, a Mikis Mantakas. L’antifascismo militante è l’ideologia che ha giustificato l’omicidio politico in nome di una presunta battaglia democratica. Io non legittimo l’omicidio. Non uso la storia come un’arma per giustificare la violenza. Se essere “antifascista” significa giustificare anche una sola di quelle morti, allora non lo sono, lei le giustifica ed è antifascista? »Ecco la verità difficile da accettare per chi tiene in vita la retorica: la domanda non riguarda la democrazia, ma l’adesione a una narrazione che, nel suo delirio di onnipotenza morale, ha legittimato il sangue. La Destra non deve “sistemare i conti con il passato”. Deve sistemare i conti con il presente, con se stessa, mostrando il coraggio intellettuale di smontare questo ricatto. Finché accetterà di giocare secondo le regole imposte da un’egemonia culturale pigra e anacronistica, continuerà a sembrare non una forza di governo, ma un liceale beccato a copiare, costretto a giurare fedeltà a una battaglia già vinta. Non è difficile. Serve solo un po’ di coraggio. E, forse, un vero intellettuale, invece di un ex-Radicale - PD in cerca di rifugio.