Cookie PolicyPrivacy Policy
08 Apr
08Apr

L’indagineIl 29 gennaio è stata presentata al Parlamento europeo un’indagine che mette in luce un sistema strutturato di compravendita di migranti tra la Tunisia e la Libia. Secondo il rapporto, tale meccanismo non sarebbe controllato da gruppi criminali o milizie irregolari, bensì da membri delle forze di sicurezza e dell’esercito tunisino e libico, suggerendo un coinvolgimento diretto delle autorità statali di entrambi i Paesi. Questi governi, destinatari da tempo di aiuti materiali e diplomatici da parte dell’Italia e dell’Unione Europea attraverso accordi bilaterali e memorandum, risulterebbero dunque attori attivi in questa rete di sfruttamento.Tratta di StatoL’indagine, intitolata Tratta di Stato, è stata realizzata da un gruppo di ricercatori internazionali che ha scelto di mantenere l’anonimato per ragioni di sicurezza. Il progetto ha ricevuto il supporto dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), di Border Forensics – un’agenzia che analizza le violazioni dei diritti umani alle frontiere – e di On Borders, un’iniziativa dedicata all’osservazione ed alla ricerca sulle politiche migratorie. Lo studio si basa sulle testimonianze di trenta migranti espulsi dalla Tunisia e trasferiti in Libia tra giugno 2023 e novembre 2024. Grazie alle loro dichiarazioni ed all’analisi di immagini satellitari, è stato possibile ricostruire con precisione i percorsi, identificare i centri di detenzione e localizzare i punti in cui avverrebbero le vendite di esseri umani lungo il confine tra i due Stati.Il rapporto documenta come forze di polizia e militari tunisine siano direttamente coinvolte nella vendita di migranti alla frontiera libica e sottolinea l’esistenza di un legame tra questo sistema di respingimenti ed il circuito delle prigioni libiche, dove i detenuti sarebbero sottoposti a torture e violenze sessuali quotidiane: una realtà già denunciata in numerose inchieste giornalistiche e da organizzazioni internazionali. Tratta di Stato aggiunge quindi un nuovo elemento al quadro delle violazioni esistenti, evidenziando il ruolo diretto degli apparati statali tunisini nel traffico di esseri umani.L’indagine della TunisiaUn’indagine condotta dal Tunisian Forum for Economic and Social Rights (FTDES), organizzazione non governativa tunisina, ha rivelato che tra il 2023 ed il 2024 la Tunisia ha impedito il passaggio di oltre 100mila persone, di cui più dell’80% proveniente dall’Africa subsahariana. A partire da giugno 2023, una parte significativa di questi individui sarebbe stata espulsa verso l’Algeria e la Libia. Tuttavia, il rapporto sottolinea come queste operazioni siano spesso difficili da monitorare, poiché condotte in aree militari inaccessibili ai mezzi di informazione, rendendo complesso ricostruire l’effettiva portata dei respingimenti e le condizioni in cui avvengono.Secondo quanto riferito, il meccanismo che porta alla deportazione ed alla tratta di esseri umani si sviluppa in cinque fasi principali: arresto, trasferimento al confine, detenzione nei campi di confinamento lungo la frontiera, passaggio e vendita a gruppi armati libici, detenzione nelle prigioni libiche.Le operazioni di arresto vengono effettuate dalla Garde Nationale tunisina, corpo militare responsabile della sorveglianza costiera e del controllo delle frontiere. I fermi si verificano in contesti molto diversi, tra cui intercettazioni in mare, posti di lavoro, istituti bancari ed agenzie di trasferimento di denaro, strade pubbliche, abitazioni private e perfino all’interno di strutture carcerarie. Un’altra pratica frequente è rappresentata dai raid nei campi informali situati nella città tunisina di Sfax, un punto strategico per le partenze verso l’Europa.L’identikit dei migrantiLe persone arrestate presentano status giuridici eterogenei: alcune dispongono di permessi di soggiorno, altre possiedono un passaporto con regolare timbro d’ingresso, mentre molte sono sprovviste di documenti.L’inchiesta dell’FTDES denuncia un utilizzo sistematico della “profilazione razziale”, con le persone di pelle nera, indipendentemente dalla loro nazionalità, che risultano le principali vittime di questi arresti arbitrari. Numerose testimonianze descrivono modalità operative ricorrenti da parte delle autorità, tra cui inganni per evitare resistenze, sottrazione di denaro e beni personali, impossibilità di accedere ad un’assistenza legale ed assenza di documentazione giuridica che giustifichi la privazione della libertà.Il modus operandiDopo l’arresto, i migranti vengono spesso legati con fascette di plastica ai polsi e, in alcuni casi, anche ai piedi, prima di essere caricati su autobus per il trasferimento. Questi spostamenti avvengono prevalentemente di notte, con i convogli scortati da veicoli militari e di polizia. A bordo dei mezzi, oltre agli autisti, sono presenti agenti della Garde Nationale in uniforme: le testimonianze raccolte descrivono episodi di violenza estrema durante i trasferimenti; viene denunciato l’uso di psicofarmaci mescolati al cibo, presumibilmente somministrati per sedare i prigionieri durante il viaggio.L’inchiesta dell’FTDES mette in evidenza un sistema che, oltre a violare i diritti fondamentali, sembra inserirsi in un circuito più ampio di tratta di esseri umani, con il coinvolgimento di diversi apparati statali e gruppi armati operanti nella regione.Le persone fermate nei pressi della frontiera vengono solitamente affidate a membri della Garde Nationale o dell’esercito tunisino, due forze spesso difficili da distinguere a causa della somiglianza delle loro divise; entrambi i corpi dispongono di strutture e personale dedicati alla gestione di queste operazioni. Secondo numerose testimonianze, i migranti vengono progressivamente trasferiti attraverso una serie di centri di detenzione, differenti per caratteristiche e condizioni, fino ad essere spostati sempre più vicino al confine libico. La durata della permanenza varia notevolmente: alcune persone vengono trattenute per meno di un giorno, mentre altre rimangono in questi luoghi fino ad un mese.Indagini indipendenti hanno documentato come all’interno di questi centri le violenze e le torture siano prassi consolidate. Secondo i racconti raccolti, uomini in uniforme utilizzerebbero bastoni, sbarre di ferro e taser per infliggere punizioni, oltre ad impiegare cani per intimidazioni ed attacchi. L’ultima fase della detenzione in Tunisia avverrebbe in una struttura descritta da più fonti come una sorta di “gabbia”, la cui posizione è stata individuata grazie a riferimenti incrociati forniti dai testimoni.Superato questo stadio, i migranti vengono trasferiti oltre il confine libico attraverso modalità descritte da chi le ha vissute con termini come “scambio” o “vendita”: secondo i racconti, gruppi di detenuti verrebbero ceduti in cambio di denaro, carburante o hashish. Dal lato tunisino sarebbero sempre presenti individui in uniforme, mentre tra i destinatari sul versante libico figurerebbero diverse tipologie di gruppi: alcuni in divisa e con mezzi ufficiali, altri composti da uomini armati in abiti civili, fino a milizie non riconducibili ad alcuna autorità ufficiale.Quando il trasferimento avviene in cambio di denaro, le cifre segnalate oscillano tra i 40 ed i 300 dinari tunisini (circa 12-90 euro) per persona, una somma determinata dal valore economico che il migrante può generare in Libia, spesso legato alla richiesta di un riscatto. Le donne, in particolare, avrebbero un prezzo di mercato più alto. Gli accordi sui pagamenti avverrebbero principalmente per via telefonica, sebbene alcuni testimoni abbiano riferito della presenza diretta di mediatori libici nelle strutture tunisine prossime alla frontiera.L’ultimo tratto di questo percorso si consuma nei centri di detenzione libici, luoghi già ampiamente documentati per le sistematiche violenze, torture ed aggressioni sessuali che vi avvengono. A gestire queste strutture sarebbero gruppi riconducibili direttamente al Ministero dell’Interno libico, il cui ruolo nel controllo di tali campi è stato più volte denunciato in ambito internazionale.Gli accordi con Italia ed Unione EuropeaA partire dal 2017, sotto il governo di Paolo Gentiloni con Marco Minniti come ministro dell’Interno, l’Italia ha siglato una serie di accordi bilaterali con la Libia, successivamente riconfermati dai diversi governi che si sono succeduti. Questi accordi prevedevano finanziamenti, addestramento e fornitura di mezzi alla cosiddetta Guardia costiera libica, con l’obiettivo di rafforzare il controllo delle frontiere marittime.Nell’ambito delle strategie di contenimento delle migrazioni, dal 2017 l’Italia ha investito circa 75 milioni di euro per fornire equipaggiamenti e formazione alle forze di frontiera tunisine, attingendo a diversi fondi; oltre a fornire supporto alle autorità locali, l’Italia ha svolto un ruolo di mediazione con le istituzioni europee per negoziare ulteriori accordi.Nell’estate del 2023, la Commissione Europea ha siglato un accordo con il governo tunisino di Kais Saied, richiedendo un rafforzamento dei controlli per contrastare le partenze dei migranti. In cambio, l’Unione Europea ha promesso aiuti economici e finanziamenti per altri settori. Nell’ambito di questo accordo, la Tunisia ha ricevuto 105 milioni di euro per potenziare le autorità responsabili della sorveglianza delle frontiere.Di questa somma, 17 milioni di euro sono stati destinati alla fornitura di nuove imbarcazioni alla Garde nationale tunisina ed alla creazione di una zona SAR (Search and Rescue), ossia un’area in cui la Tunisia si impegna a garantire operazioni di ricerca e soccorso. L’indagine evidenzia come la strategia adottata dall’Unione Europea si articoli su tre direttrici principali: il finanziamento delle misure di contenimento, la legittimazione retorica delle politiche di blocco attraverso la giustificazione della gestione dei flussi e della lotta alla tratta di esseri umani, e l’adozione di misure umanitarie di protezione con un impatto estremamente limitato.

Commenti
* L'indirizzo e-mail non verrà pubblicato sul sito Web.