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29 Sep
29Sep

Sulle note del preludio che apre La traviata di Verdi, in scena al Teatro Coccia di Novara nel nuovo allestimento firmato da Giorgio Pasotti, si celebra il funerale di Violetta. Poi, ad apertura di sipario, l’impianto scenico, nella sostanza fisso fino alla fine dell’opera, presenta un contenitore disegnato da Italo Grassi che pare un monumento funebre, con scalinate laterali e al centro un portale delimitato da due colonne in stile vagamente liberty. Le proiezioni, assai curate e suggestive, ideate dal visual designer Luca Attilii, fanno la parte del leone nello spettacolo dando anima a una visione dell’opera dove si susseguono, nella casa di Violetta, immagini della Parigi vista dai ritratti di Toulouse-Lautrec, mentre il secessionismo viennese diviene lo stile guida nel quadro della festa in casa di Flora, con richiami pittorici a Gustav Klimt. La scena finale, infine, è avvolta da candele funebri che sembrano evocare la morte tragica della protagonista accompagnata da immagini espressioniste di Egon Schiele. Nel secondo atto, invece, nel ritiro della casa di campagna, un fogliame verdeggiante cede il passo a rami secchi che segnano il progressivo sfiorire della serenità dei due innamorati a causa del forzato sacrificio di Violetta. Tutto si esaurisce qui, o quasi. Perché la regia di Pasotti, noto attore e regista di teatro alla sua prima esperienza con l’opera lirica, è davvero povera di idee e si limita a un entra ed esci scenico piuttosto scontato. Le intenzioni espresse nel programma di sala non aiutano certo a migliorare la sensazione di uno spettacolo dove non emerge una precisa idea di fondo e ci si affida a costumi di Anna Biagiotti, pur preziosi e accurati nelle tonalità coloristiche, poco integrati con le volontà figurative fra il simbolico e il realistico che l’allestimento persegue senza approdare a un disegno drammaturgico compiuto e ben definito.Non è che musicalmente le cose funzionino un granché meglio, dato che la bacchetta di Alessandro Cadario, alla testa dell’incerta Orchestra Antonio Vivaldi, predilige tempi slentati e sfilacciati, senza contrasti, dinamiche e colori che sappiano offrire anima teatrale all’opera, avvolta in un magma sonoro impastato e stinto. A farne le spese sono pure i cantanti, a partire dai tre protagonisti, che almeno sulla carta sono nomi di richiamo, ma tradiscono, chi più chi meno, le attese.Francesca Sassu, che ha fatto della parte di Violetta un suo cavallo di battaglia, resta la professionista di sempre, ma gioca in difesa per tutta l’opera. Per di più, nel primo atto, commette un vistoso errore: tarda il suo ingresso in scena e si mangia diverse battute accompagnate dalla sola orchestra con un comprensibile imbarazzo prima che tutto rientri nella normalità. La voce, che appare povera di smalto, oltre che avara d’intenzioni espressive, si adegua a una visione interpretativa piuttosto guardinga della parte, quindi non all’altezza delle aspettative che il suo nome dava a prevedere. Così avviene nel primo atto, quello che le è più congeniale, risolto non senza affanni nella cabaletta, con l’azzardo di un mi bemolle problematico, poi in un secondo di distratto e quasi anonimo grigiore espressivo, fino a un finale latitante d’intensità drammatica ed emotiva.
Francesco Castoro, che ha comunque sempre un prezioso timbro di tenore, è un Alfredo a corrente vocale alternata, con belle intenzioni spesso sacrificate dinanzi a suoni e a mezze voci che talvolta mancano di corretto sostegno d’emissione. Mario Cassi, nei panni di Germont, è cantante di consolidata esperienza, ma non risulta, in questa occasione, nella sua forma migliore, con suoni spesso spinti che snaturato la naturale predisposizione a un canto lirico non facile come gli è solito nella linea, affaticata più del dovuto.
Nelle parti di contorno, tanto importanti nell’economia dell’opera, si sono distinti soprattutto Matteo Mollica (Il Barone Douphol), Omar Cepparolli (Il Dottor Grenvil) e la debuttante Martina Malavolti, allieva della Accademia AMO del Coccia di Novara, affiancati dalle funzionali prove di Anna Malavasi (Flora), Simone Fenotti (Gastone), Ranyi Jiang (Il Marchese d’Obigny), Cherubino Boscolo (Giuseppe), Silvio Giorcielli (Un domestico di Flora) e Luigi Cappelletti (Un commissionario).
C’è da sperare che il secondo cast, che si alterna al primo per due delle complessive quattro recite in cartellone (una in più rispetto alle tre solitamente programmate dal teatro novarese per i titoli operistici), riservi sorprese migliori nei giovani Alexandra Grigoras (Violetta) e Carlo Raffaelli (Alfredo), affiancati dall’esperto Marcello Rosiello nei panni di Germont.
La serata si è comunque conclusa con applausi sinceri per tutti e lanci di fiori per la protagonista. Teatro Coccia – Stagione 2025
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe VerdiVioletta Valéry Francesca Sassu
Alfredo Germont Francesco Castoro
Giorgio Germont Mario Cassi
Flora Bervoix Anna Malavasi
Annina Martina Malavolti*
Gastone, Visconte di Létorières Simone Fenotti
Il Barone Douphol Matteo Mollica
Il Marchese d’Obigny Ranyi Jiang
Il Dottor Grenvil Omar Cepparolli
Giuseppe Cherubino Boscolo
Un domestico di Flora Silvio Giorcelli
Un commissionario Luigi Cappelletti*Allieva Accademia AMOOrchestra Antonio Vivaldi
Schola Cantorum San Gregorio Magno di Trecate
Direttore Alessandro Cadario
Maestro del coro Alberto SalaRegia Giorgio Pasotti
Scene Italo Grassi
Visual designer Luca Attilii
Costumi Anna Biagiotti
Coreografia Giuliano De Luca
Light designer Ivan PastrovicchioProduzione Fondazione Teatro Coccia di Novara
Novara, 26 settembre 2025


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